San Fantino il Giovane
Di San Fantino non si conosce con precisione né il luogo di nascita, né la data di nascita. Ma dall’agiografo che ha vissuto a fianco del santo calabrese per grandi approssimazioni si può ricavare che Fantino nacque in una terra vicinissima alla Sicilia e non lontana da Roma. Presumibilmente, Fantino nacque nella zona di Mesa, a Nord di Reggio Calabria e ciò lo si può dedurre dal nome della madre, Vriena, che è il nome della madre di Santa Febronìa, a cui venne dedicato un monastero femminile, proprio nel territorio di Mesa. Fantino, all’età di otto anni, fu affidato dai genitori a Sant’Elia lo Speleota di Melicuccà (RC), questo è un ulteriore dato che fa propendere per la sua nascita nella Calabria meridionale. All’incirca visse tra il primo decennio ed il penultimo decennio del decimo secolo. La sua vita monastica iniziò sotto la guida spirituale di Sant’Elia lo Speleota, la cui fama giunse sino a Roma. Il grande Elia era diviso dalla necessità di guidare i confratelli e dal desiderio di ritirarsi per contemplare l’immensità di Dio. Infatti, egli si recava presso il monastero solo il sabato e la domenica, stando il resto dei giorni immerso nella contemplazione. Quindi, Sant’Elia assegnò a Fantino la mansione di cuoco del monastero ed egli serviva i suoi confratelli come molto amore ed al contempo iniziò una dura ascesi spirituale praticando lunghi digiuni, che nel tempo divennero totale astensione da qualsiasi cibo e bevanda. Percorrendo le orme del padre spirituale, Fantino, in special modo nel periodo calabrese, praticò una durissima lotta spirituale, quasi aggressiva, tale era la tenacia con cui si purificava. Essa pian piano maturò in un amore sconfinato verso il prossimo, che andava oltre i limiti e la convenienza umana, arricchita dal carisma delle guarigioni, questa maturazione spirituale contrassegnò, essenzialmente, la sua esperienza tessalonicese ove ne trassero grande giovamento i poveri ed i malati. Con riferimento all’esperienza calabrese, Fantino lasciò il monastero di Sant’Elia a trent’anni. Da tale momento si ritirò in una solitudine assoluta in cui come compagni ebbe la violenza del demonio, del freddo e della fame. L’agiografo narra un episodio in cui il santo dovette contendersi due pere selvatiche con dei cinghiali oppure l’abito monastico totalmente consunto, che costrinse il santo a correre sulla spiaggia per riscaldarsi, sino a che trovò un po’ di lino per coprirsi lasciato da un tessitore, ma, essendo insufficiente cadde in deliquio per il freddo e si svegliò solo perché sentì i topi che lo rosicchiavano. Fantino condusse tale vita per diciotto anni, sino a quando un cacciatore lo trovò e così i suoi parenti poterono andare a trovarlo, ma essi raggiunto il santo con la motivazione di dissuaderlo dalla suddetta vita, invece, lo seguirono come suoi discepoli. Ben presto la fama di Fantino raggiunse i territori circostanti e molti giovani chiesero di poter essere suoi discepoli. Egli l’istruì nella fede con amore e li mandò a popolare le aspre terre del Mercurion, ove i monasteri strapparono il territorio sino a quel momento infestato dai diavoli. La gestione di questi monasteri la affidò a suo fratello Luca. Il desiderio della vita eremitica lo divorava, tanto che vestito di una tunica di pelli di capra scappò dal monastero nottetempo e giunse in un paese (Mercure?) ove fu scambiato per una spia e rinchiuso in cella, qui assalito dagli insetti, si difendeva raschiandosi con dei cocci. Ormai, il diavolo capì che l’ardore religioso di Fantino era inattaccabile e sconfitto si allontanò, la gente riconobbe l’errore e vennero perdonati con la benedizione dell’asceta. Ritornò a vivere nel monastero: mangiando verdure crude e pane secco, dormendo per terra e per le domeniche e le festività pregava incessantemente in piedi dall’ora nona (tre del pomeriggio) sino alla Divina liturgia (mattino seguente). Un giorno decise di recarsi in pellegrinaggio al Monte Gargano ove apparve San Michele Arcangelo ed il pellegrinaggio durò diciotto giorni di cammino costante, mangiando, praticamente quasi nulla. Ed anche lì attese l’inizio della Divina liturgia incessantemente in piedi. Il periodo calabrese si conclude con una visione che radicalizza la vita del santo. Una visione che apparentemente affronta temi differenti, ma che in realtà si completano, in quanto nella vita di San Fantino, tale visione contrappone alla dannazione dell’inferno la beatitudine dei santi. Mentre nella vita di San Nilo, viene riportata tale medesima visione, la quale riguardò in particolar modo la desolazione dei monasteri, chiese e biblioteche greco-ortodosse, evidentemente la visione si rifà alla situazione attuale. Quindi le due versioni toccano temi simili. A causa di tale visione, i confratelli di Fantino gli diedero del pazzo, al punto che dovette intervenire San Nilo, già stimato asceta, ad ammonirli. Grazie a tale intervento, il santo calabrese ebbe un breve periodo di sollievo. In seguito, Fantino scappò sulle montagne ed ogni volta che veniva ripreso con la forza dai confratelli, egli cercava l’attimo opportuno per scappare nuovamente. In tale periodo, Fantino ebbe un’ulteriore visione che gli suggerì di lasciare la Calabria per Tessalonica, ove si recò con due discepoli, Vitale e Niceforo, quest’ultimo è San Niceforo il nudo, che proseguì il suo cammino sino al Monte Athos sotto la guida spirituale di Sant’Atanasio, che ne smussò la durezza della lotta spirituale sino a quel momento insegnatagli da Fantino, il quale si incontrò con Sant’Atanasio ed il suo compagno Paolo proprio a Tessalonica, ove si scambiarono fraterni saluti. L’esperienza tessalonicese, come già anticipato, si connotò per lo smisurato amore con cui il santo si relazionava con il prossimo anche se all’inizio ancora vi furono elementi tipici della sua fierezza, come nel caso in cui Fantino sanò un uomo che aveva il mal di denti con uno schiaffo. Ma ben presto questi connotati, furono persi per sempre, sostituiti da un amore viscerale per il prossimo. Una volta per saldare il debito che una filatrice aveva con dei creditori, Fantino si finse suo debitore facendosi trascinare tirato da una corda attaccata al collo davanti ai potenti del paese ottenne l’estinzione del debito. Oppure in un periodo di intenso freddo, Fantino diede la sua tunica, tutto ciò che aveva, ad una donna che gliela chiese. Ed ancora, dopo la sua dormizione che avvenne in un monastero di Tessalonica, ancora inebriato dalla forte fragranza che accompagnò il trapasso del santo, la quale avvenne all’età di 73 anni. Fantino sanò un sacerdote iconografo mandato da Costantinopoli a dipingere la sua icona, egli era idropico ed il santo gli apparve e stette due notti in posa, affinché l’iconografo, dopo esser stato guarito, poté dipingerlo. Alcuni testi indicano che fu dedicata a Tessalonica una chiesa a San Fantino e che vi sia una sua icona. Ma ad oggi, non vi sono documentazioni certe.
Per le preghiere di San Fantino, Signore Gesù Cristo, Dio nostro, abbi misericordia di noi. Amìn!