MISTICISMO BASATO SULL’INCARNAZIONE E SUI SACRAMENTI
del Rev. John S. Romanides
iononostante, quest’apparente voltafaccia permette a Padre Giovanni di offrire l’opportunità di trasformare la discussione dal piano di un “misticismo del cuore e intellettuale” a un “misticismo basato sull’incarnazione” secondo il quale tutte le pratiche esicaste si collegano alla grazia dell’incarnazione e del battesimo. Così Palamas pare che applichi dei correttivi cristologici alla tradizione patristica platonica e alle sue esperienze e visioni religiose della Divinità indipendentemente dal Figlio incarnato di Dio. Questa posizione è il cuore e il centro del tentativo di Meyendorff di descrivere le differenze tra il supposto evagrianismo di Barlaam e la supposta tradizione macariana di Palamas.
Evidentemente, padre Giovanni è imbarazzato dall’insistenza con la quale la patristica greca sostiene che i profeti dell’Antico Testamento avevano raggiunto alti livelli di perfezione spirituale e, in molti casi, avevano dirette visioni di Dio indipendentemente dall’evento salvifico dell’Incarnazione. Qualche volta gli studiosi riferiscono quest’interpretazione delle esperienze profetiche vetero testamentarie come un esempio di platonismo patristico greco che limita il significato dell’unica rivelazione portata al mondo nella persona storica di Cristo. Conseguentemente a un complesso che sembra essergli insorto da quest’interpretazione dei Padri greci, Meyendorff tenta di dimostrare che Palamas è molto più prossimo al tipo di teologo voluto da alcuni studiosi moderni. Così, per padre Giovanni, Palamas lega la vita contemplativa non a una semplice visione del Divino (com’è nel caso dei Padri “platonizzanti” che usano l’esempio di Mosè per descrivere l’ascesa spirituale), ma al contatto intimo e corporeo dell’Incarnazione” . Questa è la presupposta ragione per cui Palamas preferirebbe la Vergine Maria a Mosé nella sua descrizione dell’ascesa spirituale. Utilizzando la sua teoria sulla Vergine Maria-Mosè come suo punto d’appoggio, padre Meyendorff spiega il caso suo. Scrive che “questa superiorità del fatto cristiano su ogni aspirazione o misticismo, al di fuori della grazia dell’Incarnazione, è certamente l’essenziale idea soggiacente a tutta la teologia di Palamas. Più dei dottori spirituali che l’hanno preceduto, egli ha sentito la realtà del radicale cambiamento introdotto nella relazione tra Dio e l’uomo dopo l’Incarnazione; così ha dato al misticismo cristiano un obiettivo fondamento indipendente da ogni psicologia, e, ancor più, da ogni “tecnica” spirituale. È Cristo, e più precisamente il Suo Corpo, ossia la Sua totale umanità, concepita nell’utero verginale, il nostro unico punto di contatto con Dio; è Lui il Mediatore della grazia santificante e deificante, la cui presenza nella Chiesa è obiettivamente reale. Palamas integra la spiritualità monastica nella storia della salvezza e così la libera dalle passate vestigia dell’idealismo platonico . Avendo affermato questa sua tesi, padre Giovanni prosegue il discorso sul vero senso esicasta del “tornare in sé” ossia nel ricercare il regno di Dio e di Cristo nel corpo, attività ora resa possibile dal momento ch’è avvenuta l’unione tra Dio e l’uomo con l’incarnazione e la grazia battesimale . Così Palamas suppone di giustificare “la mistica della preghiera di Gesù e il metodo fisico della preghiera attraverso una teologia sacramentale” . “Similmente - continua Meyendorff - è nella sua teologia sacramentale ed ecclesiologia che si trova la base della sua dottrina riguardo alla deificazione. Il pensiero di Palamas è, perciò, perfettamente chiaro su questo soggetto: la grazia redentiva, santificante e deificante è unita al battesimo e all’Eucaristia” . “Al termine - si legge più avanti - è sempre la realtà dell’Incarnazione che viene difesa da Palamas e questa è una dottrina della Chiesa, Corpo di Cristo, che determina il suo pensiero a riguardo della deificazione. Come abbiamo potuto osservare in molti testi, la dottrina palamita riguardo alla conoscenza di Dio presuppone la deificazione dell’uomo, accordata dal giorno del battesimo, nella forma di un frutto iniziale (primizia - arravon) e compresa più perfettamente nella vita spirituale” La rivendicazione palamita che l’uomo diviene “increato per grazia” è giustificata, anche questa, come un “misticismo sacramentale” . Questo tipo di comprensione sarebbe supposta anche dal modo con cui Palamas utilizza la formula di Massimo il Confessore nella quale si esprime che, per grazia, Melchisedek è divenuto “senza inizio” .
Al fine di verificare le sue tesi concernenti il misticismo basato sull’incarnazione e sui sacramenti, padre Meyendorff fa uso di un serie di testi che, nuovamente, traduce e interpreta male.
Il primo di questi testi si fonda nel contesto del summenzionato
dibattito riguardante l’accusa barlaamita secondo la quale gli esicasti
cercavano d’ottenere l’essenza della mente nel corpo. La risposta
di Palamas precisava che non si vuole ottenere l’essenza dal momento che
è la facoltà noetica, in quanto energia, che dev’essere
circoscritta nel corpo. Verificando questa posizione, Palamas cita San Giovanni
Climaco, il quale dice che un “esicasta è colui che si affretta
a circoscrivere l’incorporeo nel corpo” . Per qualche ragione padre
Meyendorff sembra pensare che l’ “incorporeo” qui si riferisce
o al regno di Dio o a Cristo . Concordemente con questo malinteso, padre Giovanni
traduce la seguente sezione di testo in modo tale che fa dire a Palamas che
un esicasta è colui che fa entrare Cristo nel suo corpo. “ Se l’esicasta
non lo circoscrive [l’incorporeo] nel suo corpo, come farà a entrare
in lui Colui che ha assunto il corpo permeando tutta la materia organizzata?”
Facendo la versione del testo padre Giovanni continua a tradurre male: “Il
lato esteriore e la divisione di questa materia sono incompatibili con l’essenza
della mente, ma solo fino al momento in cui la materia comincia a vivere, acquistando
un aspetto vivente conformemente all’unione [con Cristo]” . Comunque,
né in tutto il contesto di tale discussione tra Palamas e Barlaam, né
in questo passo si parla dell’unione tra qualche parte dell’uomo
e Cristo. In questa sezione Palamas dimostra che è impossibile interpretare
la citazione summenzionata di San Giovanni Climaco come se l’esicasta
fosse definito come chi s’affretta ad ottenere l’essenza della mente
nel corpo. Così Palamas si chiede (e qui la traduzione di questa sezione
è corretta), “Perciò se egli [l’esicasta] non confinerebbe
[la facoltà noetica in quanto energia] nel corpo, come potrebbe, quanto
riveste il corpo e lo permea in forma naturale [...] essere in lui? - Quale
(materia informata, ossia corpo) non riceve esteriormente e ulteriormente l’essenza
dalla mente, così come quale forma (corpo) vivrebbe, se rompesse la forma
di vita propria all’unione?” In altre parole, Palamas dice che se
la facoltà noetica in quanto energia non è quello che dev’essere,
ossia circoscritta nel corpo e se è l’essenza della mente che è
fuori dal corpo, allora non sussisterebbe alcuna possibilità di averla
unita al corpo e in tal caso il corpo sarebbe morto. Qui non c’è
assolutamente nulla che possa remotamente riferirsi a qualche genere di misticismo
basato sull’incarnazione e sui sacramenti. Osservando il secondo testo
padre Giovanni dimostra che “il pensiero di Palamas è completamente
chiaro anche in un altro passo delle Triadi” . Il contesto nel quale si
fonda il passo in questione è la disputa tra Palamas e Barlaam riguardante
la natura della luce vista dagli apostoli sul Monte della Trasfigurazione. Palamas
sosteneva che quella luce è increata mentre Barlaam sosteneva fosse creata.
L’argomento basilare utilizzato da Barlaam è appoggiato alla tradizione
agostiniana. Egli rivendica che la prova della creaturalità della luce
divina sta nel fatto che essa tocca i sensi attraversando l’aria e solo
con un processo di astrazione operata con l’immaginazione l’intelletto
se ne diviene consapevoli . Come abbiamo dimostrato nella prima parte questo
corrisponde alla più bassa forma di rivelazione nella tradizione occidentale
latina. Davanti a questo argomento basilare di Barlaam, si è confusi
quando si nota l’utilizzo di Meyendorff della citazione che stiamo per
esaminare, citazione che Meyedorff riporta per sostenere la sua teoria sul misticismo
basato sull’incarnazione e sui sacramenti. Prima di esaminare il testo
stesso, osserviamo più da vicino principale da esso trattato nel suo
contesto. Dal momento che Palamas fu contestato da Barlaam che la luce della
Trasfigurazione, partendo dal corpo di Cristo, ha attraversato l’aria
raggiungendo i sensi degli apostoli, rispose andando incontro ad una grande
difficoltà dimostrativa. Controbattè dicendo che la luce in questione
non è oggetto dei sensi dell’esperienza umana (non per quel modo
si mostra all’intelletto), neppure attraversa l’aria o è
visibile attraverso di essa. A prova di ciò, Palamas cita san Dionigi
l’Areopagita, il quale afferma che nell’età futura “saremo
illuminati dalla visibile Teofania di Cristo, come succedette ai discepoli nella
Trasfigurazione” . Per Palamas, almeno, non può esservi alcuna
ragione che tale luce sia visibile nell’età futura attraverso l’aria
o attraverso qualche luce creata . In tal modo Palamas afferma che la stessa
cosa si deve dire pure per la luce della Trasfigurazione, dal momento che San
Dionigi scrive che entrambe le luci sono identiche. Ma se la luce della Trasfigurazione
è creata ed è visibile attraverso l’aria, allora, risponde
Palamas, il grado di visibilità di tale luce dipende dalla pulizia e
dalla trasparenza dell’aria, non dalla preparazione spirituale dell’uomo
. Come si può allora spiegare l’invisibilità di questa luce
ai peccatori e il fatto che non tutti i presenti al tempo della rivelazione
hanno visto questa luce, come invece è successo nel caso dei tre apostoli
sul Monte Tabor e in quello dei pastori che così conobbero la gloria
di Cristo? Palamas, da ciò, giunse all’affermazione culminante
per cui non è ad opera di mezzi creati che gli apostoli hanno potuto
vedere la gloria di Cristo sul Monte di Trasfigurazione, ma per opera dello
Spirito onnipotente. In tal modo gli eletti apostoli avrebbero visto la luce
sul Monte Tabor, “non solo dall’irradiazione della carne che il
Figlio aveva per se stesso, ma pure dalla nube che portava in sè il Padre
di Cristo” . Quest’affermazione custodisce il principio epistemologico
di base della tradizione greco-patristica per la quale solo nella luce increata
(in questo caso chiamata nube) si può vedere la luce increata. In tal
modo non può esservi spazio alcuno alla questione se la gloria della
Trasfigurazione si trasmetta dal corpo di Cristo attraverso l’aria per
raggiungere le menti degli apostoli passando dai loro sensi. Il corpo illuminato
di Cristo raggiunse gli apostoli senza intermediari perché la stessa
luce sfolgorante già li illuminava dal loro interno. Questo genere di
esperienza è la stessa, come vedremo, nei patriarchi e nei profeti dell’Antico
Testamento i quali conobbero la gloria sfolgorante del Cristo in loro, attraverso
la deificazione o la grazia divinizzante, nella gloria. Questo è l’argomento
base di Palamas contro l’opinione agostiniana di Barlaam per il quale
anche la gloria dell’Antico Testamento ha toccato i sensi dei profeti
attraversando l’aria ed era, perciò, creata.
Ci si sarebbe aspettati che Meyendorff avrebbe preso seriamente in considerazione
i principi epistemologici soggiacenti al dibattito [tra Barlaam e Palamas] tenuto
conto del fatto che la contesa sollevata da Barlaam riguardante la creaturalità
della gloria divina rivelata nell’Antico e nel Nuovo Testamento e in certi
santi, fosse la causa immediata della sua sinodica condanna per eresia, e pure
davanti al fatto che un approccio corretto a tale questione è un’imporante
chiave per comprendere la teologia palamita. Invece, Meyendorff presenta un
chiarimento basato sulle sue teorie riguardo a Dionigi l’Areopagita e
all’umanesimo nominalistico-platonico di Barlaam . Così egli favorisce
la confusione sul problema riguardante la creaturalità o l’increaturalità
della Luce taborica con una questione immaginaria concernente il simbolismo
sacramentale . Separandosi da ciò, padre Giovanni prende un particolare
spunto da un singolo passo nel quale pensa di poter sostenere la sua teoria
riguardo il misticismo basato sull’incarnazione e sui sacramenti. Così,
Meyendorff interpreta tale passo in modo da porsi contro l’intera difesa
palamita della teologia esicasta e in favore della refutazione barlaamita di
questa stessa posizione.
Il passo in questione è l’apice dell’argomentazione palamita
in risposta all’affermazione di Barlaam secondo cui la gloria del corpo
di Cristo è stata rivelata direttamente ai soli sensi ed è perciò
inferiore alla rivelazione fatto direttamente all’intelletto. Palamas
è piuttosto indignato all’idea che la luce increata potrebbe essere
vista dai soli sensi e afferma che tale visione non è propria né
ai sensi né all’intelletto, ma li trascende entrambi, essendo allo
stesso tempo una conoscenza ed un’inconoscibilità alla quale partecipa
l’intero uomo, venendo così divinizzato nel corpo e nell’anima
da questa stessa luce di grazia. Alla prolungata esposizione di queste idee,
Palamas aggiunge l’informazione che sul Monte Tabor il corpo di Cristo,
fonte di gloria per virtù dell’Incarnazione, illuminava gli apostoli
al di fuori, mentre ora questo stesso corpo illumina i cristiani Cristiano al
loro interno . Quest’informazione è presentata come parte della
generale confutazione della contesa barlaamita che tale gloria è stata
esperimentata direttamente solo dai sensi. Così si deve comprenderlo
come prova che questo stesso Corpo, per la virtù d’essere ora fra
noi, splende innanzitutto la sua gloria direttamente alla mente. Barlaam si
è, perciò, sbagliato quando affermava nella sua contesa, che questa
luce proveniente dal corpo di Cristo può essere sperimentata direttamente
dai soli sensi. Inoltre, questo passo non può essere capito se isolato
dal contesto del dibattito, e specialmente dalla difesa palamita dell’increaturalità
della luce, dalla dimostrazione ch’essa non si è mostrata solo
dal corpo di Cristo ma ha pure sfolgorato dalla nube non essendo stata vista
attraverso l’aria.
Ignorando l’intero contesto nel quale Palamas parla del corpo di Cristo
che illumina esternamente gli apostoli dal Monte Tabor e più in seguito
dal loro interno, ignorando il fatto che la nube discesa sugli apostoli era
anch’essa fonte della medesima gloria, e ignorando tutti i riferimenti
di Palamas all’illuminazione, santificazione, e deificazione o divinizzazione
dei profeti prima dell’Incarnazione, padre Giovanni pensa che questo passo
verifica che, per Palamas, la pratica della preghiera esicasta e la teologia
della grazia, santificazione e deificazione o divinizzazione ha come sua fonte
l’Incarnazione e i sacramenti della Chiesa.
Cinque anni prima la pubblicazione del suo maggior lavoro su Palamas, padre
Giovanni aveva scritto un articolo nel quale aveva sviluppato la sua teoria
riguardo al misticismo basato sull’incarnazione e sui sacramenti. Dal
momento che le teorie del suo maggior lavoro sono un’amplificazione di
questo articolo, può essere significativo estrarne alcune sue principali
idee. Dopo aver citato il passo di Palamas riguardo al corpo di Cristo che rifulge
esternamente sugli apostoli sul Monte Tabor e più tardi al loro interno
in coloro che sono divenuti membra del Suo Corpo , Padre Giovanni dice che,
“Gli apostoli non sono stati favoriti dalla vera visione che è
accessibile a noi stessi dopo la morte e la risurrezione di Cristo (nin), quando
il Suo Corpo e i nostri corpi sono entrati in una comunione ineffabile. Questa
spiritualità è, perciò, concentrata totalmente sul Corpo
di Cristo: “Certi santi”, scrive Palamas in un altro passo, “dopo
l’arrivo di Cristo nella carne, hanno visto questa luce come se fosse
un mare senza fine, proveniente miracolosamente da un unico sole, il che è
quest’adorato Corpo” . Questa spiritualità cristocentrica
eucaristica”, continua Meyendorff, “offre un significato molto chiaro
ai precetti del Metodo: gli esicasti non cercano Dio fuori di loro, come ancora
avevano fatto gli apostoli sul Monte Tabor, ma lo trovano in loro, nei loro
corpi propri, da questi corpi quali membra dell’unico Corpo, in virtù
della comunione resa accessibile nella Chiesa... La spiritualità esicasta,
nella prospettiva palamita, non è, perciò, un esoterismo malato,
ma trova la sua base nell’insieme della prospettiva paolina del corpo
umano quale “tempio dello Spirito Santo” e “membra di Cristo”
(I Cor. VI, 15-19). E’ così che sono compresi determinati passi
di Palamas riguardo al “discernimento degli spiriti”. Per fare un
esempio, padre Giovanni cita il seguente passo dalla prima lettera di Palamas
a Barlaam : “Comunque la luce dell’errore è sempre vista
dal di fuori. Non è in accordo con il movimento di ritorno in se della
facoltà noetica. Per questo (ravvolgersi e ritorno) sempre guida senza
errore riguardo al divino” .
In vista di quanto abbiamo osservato del dibattito tra Palamas e Barlaam, è
singolare l’insufficienza di Meyendorff nel considerare la realtà
del problema. Nessuno può essere d’accordo con la pretesa di Meyendorff
per cui gli apostoli sul Monte Tabor hanno cercato Dio fuori di loro dal momento
che Barlaam, da questo, dedurrebbe sicuramente che la luce della Trasfigurazione
è creata. Barlaam andrebbe d’accordo anche con l’idea che
sul Monte, gli apostoli "non furono favoriti da una vera visione".
Ciò che veramente stupisce è il fatto che la descrizione palamita
della demoniaca luce che appare al di fuori dell’uomo non ha condotto
Meyendorff a sospettare che forse la sua teoria sul misticismo sacramentale
era errata. Invece, afferma che è alla luce di tali cose, come la ricerca
di Dio degli apostoli al di fuori di loro sul Monte Tabor che non è capito
l’avvertimento palamita sulle visioni demoniache della luce. In questo
scritto è difficile credere che padre Giovanni dica veramente che gli
apostoli sul Monte Tabor avessero un’esperienza demoniaca ma come si riesce
ad evitare questa conclusione? Palamas dice chiaramente che tutte le visioni
della luce esperite al di fuori di sé sono demoniache. Meyendorff invece
afferma che gli apostoli sul Monte Tabor avevano quella che, per Palamas, era
la visione della luce al di fuori di loro. Perciò la visione della luce
degli apostoli sul Mont Tabor era demoniaca? Meyendorff accetta chiaramente
entrambe le premesse, sia la maggiore sia la minore, come descrizioni della
teologia palamita. Accetta la conclusione? Se no, come fa ad evitarla? Questa
difficoltà non esiste per Palamas, dal momento che la premessa minore
non è sua ma di Barlaam.
E’ interessante notare che nel contesto della sua esposizione sulle sue
teorie riguardanti la differenza tra la luce esterna sfolgorante dal corpo di
Cristo sul Monte Tabor e dal suo interno, dopo la morte e risurrezione di Cristo,
padre Giovanni aveva utilizzato il passo summenzionato riguardo alla visione
avuta da certi santi dopo l’incarnazione di Cristo dicendo che "questa
luce è un mare aperto senza fine, proveniente paradossalmente da un disco,
che è il Corpo adorabile" . Ma Padre Giovanni ha omesso di citare
il resto di tale frase, che prosegue dicendo: "come gli apostoli (conobbero)
sul Monte". Palamas, perciò, sembra identificare queste visioni
dei santi, membri con il battesimo del Corpo di Cristo, con quelle degli apostoli
sul Tabor, piuttosto che allontanare le une dalle altre in maniera meyendorffiana.
Che Meyendorff si sia sbagliato è ovvio anche dal suaccennato utilizzo
dell’identificazione areopagitica presa da Palamas della visione nell’epoca
futura con l’esperienza degli apostoli sul Tabor . Questo è ancor
più ovvio quando Palamas dichiara che pure gli angeli "divengono
partecipi e contemplanti non solo della gloria Triadica, ma pure della manifestazione
della luce di Gesù, che fu pure rivelata ai discepoli del Tabor"
. Che questa luce, pure prima dell’Incarnazione, non fosse esteriormente
visibile ai sensi è verificato, secondo Palamas, dal fatto che Elia ha
visto Dio come coperto da un manto . Palamas dichiara, un po’ più
in là che il viso di Mosè irradiava la gloria di Dio perchè
"l’intima illuminazione della facoltà noetica aveva reso saturo
il corpo" . San Gregorio aggiunge che questo è esattamente quello
che è accaduto a Santo Stefano . Palamas, perciò, identifica le
esperienze rivelatorie della luce increata prima e dopo l’incarnazione
come pure quelle prima e dopo la formazione della Chiesa come Corpo di Cristo
Nel difendere la dottrina dell’increaturalità della gloria di Cristo
e la Trinità rivelata ai profeti dell’Antico Testamento e agli
apostoli sul Tabor, Palamas, come abbiamo visto, ha esposto che questa luce
non è oggetto dell’esperienza dei sensi o dell’intelletto;
non è vista attraverso il mezzo dell’aria o di qualche altra creatura
e non può essere vista o resa nota all’uomo da facoltà naturali.
Come Meyendorff stesso molto correttamente indica citando alcuni importanti
passi , per Palamas il solo mezzo possibile con il quale sia il corpo che l’anima
possono avere una visione della luce increata è essere deificati o divinizzati.
La luce increata è invisibile ai sensi e all’intelletto, ma non
invisibile a chi è divinizzato. Così nella rivelazione, essendo
divinizzato, l’uomo riceve quella luce increata con la quale vede la luce
e così, avendo acquisito quest’ "occhio divino" che non
possedeva precedentemente, vedrebbe Dio nella Sua Gloria con tutto se stesso,
corpo ed anima. Così la Luce Increata è per l’uomo sia il
Mezzo che l’Oggetto della visione, Quanto con il Quale l’uomo vede
se stesso e Quanto con il Quale l’uomo diviene per grazia Dio. Comunque,
come abbiamo visto, Meyendorff restringe questa divinizzazione non solo all’Incarnazione,
ma pure ai sacramenti della Chiesa , escludendo così pure gli apostoli
al tempo della Trasfigurazione sul Monte Tabor. In tal caso Meyendorff è
obbligato a spiegare come Palamas abbia difeso la realtà della visione
di Dio nell’Antico Testamento e sul Monte Tabor contro gli attacchi di
Barlaam.
Palamas indica chiaramente che gli apostoli sul Tabor non avrebbero potuto vedere
la luce increata "se non avessero ricevuto occhi che non avevano precedentemente
cosicché pure attraverso ciò (la luce) divenne accessibile agli
occhi, ma anche tale realtà divenne superiore agli occhi e percepita
dal potere della luce spirituale" . Rifiutando la pretesa barlaamita che,
secondo Dionigi l’Areopagita, vedendo l’oscurità (gnofos)
ci si pone più in alto della visione della luce degli esicasti, e che
quest’oscurità è identificata con la sua visione della teologia
apofatica , Palamas indica che la teologia apofatica è opera di ogni
uomo pio ma l’unione nell’oscurità divina, identica alla
luce divina, appartiene solo a Mosè e a chi è come lui . Dal momento
che quest’unione trascende ogni categoria ed esperienza umana, è
chiamata "tenebra e luce", visione e non visione, conoscenza e non
conoscenza . "Come", si chiede Palamas, "egli (Mosè e
chi è come lui) vedendo non vede?" La risposta sta nell’ "essere
pervenuto ad una situazione migliore di quella umana e, per grazia, nel divenire
Dio e unito a Dio vedere Dio attraverso Dio" . Così Mosè
e chi è come lui conoscono Dio perchè sono divenuti Dio per grazia.
Altrove Palamas identifica l’esperienza di Mosè e di san Paolo
. Palamas parla nuovamente che Mosè aveva patito la trasfigurazione sul
Monte Sinai, paragonandolo per contrasto a Cristo, Che operò la trasfigurazione,
poiché era Lui stesso la sorgente della gloria .
Una tra le più chiare asserzioni palamite sull’esistenza della
grazia deificante nell’Antico Testamento si rinviene nella Terza Lettera
che Palamas ha inviato ad Akindynos nella quale afferma che sia san Paolo che
Melchisedek divennero increati per la grazia deificante. "Secondo il divino
Maximos", scrive Palamas, "il Logos del benessere, è presente
per grazia nell’uomo degno, che porta in sè Dio, Dio che per natura
è senza inizio e fine viene reso per grazia senza inizio e fine, perché
il grande Paolo non vivendo più la vita nel tempo ma la vita divina ed
eterna scaturente dall’inabitante Logos è divenuto per grazia senza
inizio e senza fine; e Melchisedek non ha auto inizio di giorni e né
fine di vita, a causa della (sua) natura creata, secondo la quale ha cominciato
e ha cessato di esistere, ma per opera della divina, increata ed eterna grazia
che è al di sopra di ogni natura e tempo, il cui essere proviene dall’eterno
Dio. Paolo, perciò, è stato creato dal non-essere solo tanto in
quanto viveva la vita creata per comando di Dio. Ma quando non ha più
vissuto questa (vita), ma quella presente inabitante in Dio, è divenuto
increato per grazia, come divenne pure Melchisedek ed ognuno che giunge a possedere
il Logos di Dio, vivendo e agendo unicamente in Lui” .
Secondo l’interpretazione palamita di san Dionigi l’Areopagita,
i termini theosis (divinizzazione o deificazione), enosis (unione) e orasis
(visione) sono sinonimi . Questo significa che dovunque Palamas parli d’unione
tra la gloria di Dio e i profeti dell’Antico Testamento o della visione
della gloria divina da parte di un profeta dell’Antico Testamento, parla
propriamente di divinizzazione. Per Palamas è solo divenendo Dio per
grazia che si può vedere Dio attraverso lo stesso Dio, e questo non solo
nell’epoca futura o nella prossima vita, ma anche in questa vita, sia
prima che dopo l’Incarnazione e la formazione della Chiesa.
Nel suo tentativo di dimostrare la natura della teologia palamita centrata sull’incarnazione,
Meyendorff si spinge fino a dichiarare che San Gregorio restringerebbe la visione
immediata della luce increata nell’Antico Testamento a "certi isolati
eletti, come Mosè" . Comunque, Palamas dichiara esattamente l’opposto
quando scrive che "i profeti e i patriarchi non furono privi dall’aver
gustato questa luce, ma piuttosto, tranne alcuni, tutte le loro visioni, perfino
le pià divine, non furono prive di tale luce" .
Si può pure indicare che nella sua difesa della simultaneità della
preghiera noetica ininterrotta e dell’attività intellettuale e
fisica, Palamas fa appello come esempio a Mosé . Così puri sulla
questione della preghiera noetica, Palamas non si adatta alle teorie di Meyendorff
riguardo al misticismo basato sull’incarnazione e sui sacramenti.
Facendo le sue distinzioni tra "la conoscenza che viene dall’esterno
(eksothen)- una conoscenza umana e puramente simbolica - e la conoscenza "intellettuale"
che proviene dall’interno (endothen)", Meyendorff indica correttamente
che queste distinzioni si trovano già nello Pseudo-Dionigi . Nel sostenere
questo, comunque, cita il seguente passo dell’Areopagita: "Perciò
non è dall’esterno (eksothen) che Dio li muove verso il divino
(a questo punto in una nota in calce padre Giovanni commenta "questo riguarda
gli uomini deificati essendo divenuti "intelligenti" nel epoca futura"),
ma dall’interno (endothen) noeticamente dal loro essere illuminato in
una luce pura ed immateriale per volontà divina" . Meyendorff continua:
‘E’ evidente che Palamas ha conosciuto questo passo ed è
stato inspirato da lui, ma ha capito Dionigi in un senso cristologico e l’ha
liberato dal suo intellettualismo: endothen non designa per lui la realtà
puramente intellettuale dell’uomo - il suo noys -, ma si riferisce all’intera
realtà umana. E’ nei nostri corpi, innestati nel Corpo di Cristo
per il battesimo e l’Eucaristia, che brilla la luce divina" . Comunque,
in questo passo citato da Meyendorff e tratto da san Dionigi non alcun riferimento
sugli uomini deificati nell’età futura. Questo passo parla semplicemente
degli angeli, che sono illuminati dentro loro e hanno una conoscenza più
alta e più immediata della conoscenza biblica, che illumina i credenti
dall’esterno con la sua teologia simbolica. Che Meyendorff sbagli nella
lettura di questo testo è esposto dal contesto e dalle interpretazioni
di questo stesso passaggio rinvenibili sia in san Massimo sia in Pachymeres
.
Concludendo questa sezione è chiaro che padre Giovanni ha seriamente confuso la teologia cristocentrica dei Padri greci con l’Incarnazione e i sacramenti della Chiesa. Per i Padri greci l’Antico Testamento è cristocentrico a tal grado da essere trinitario. Palamas rappresenta una primitiva tradizione cristiana quando si chiede: "Quale degli angeli disse a Mosè ‘Io sono Colui che è, il Dio di Abramo, di Isacco e Giacobbe’, se non il Figlio di Dio?" . La novità, nel Nuovo testamento, non è la dottrina della Trinità ma l’Incarnazione e l’evento della salvezza con le quali il potere del demonio è stato abolito una volta per tutte e il Corpo di Cristo, la Chiesa, è stata riscattata dalla morte (hades) rendendo le sue porte inviolabili. Ora per i credenti, in Cristo esiste la prima risurrezione, quella dell’anima, e nel giorno del giudizio la seconda resurrezione, quella del corpo. Quelli che avranno parte alla prima, avranno parte anche alla seconda. E in questo contesto che bisogna vedere la grazia dell’unione, della visione, e della deificazione espressa da Palamas. Questa grazia opera in entrambi i Testamenti, l’Antico e il Nuovo, con la differenza che ora in Cristo per l’uomo giusto e pentito, diviene e può divenire prima e dopo la vita terrena di Cristo, un dono permanente dell’anima non è perso alla morte del corpo. E’ solo in questo senso che Dio, in Cristo, dimora in nuovo modo con la grazia dello Spirito Santo nei Cristiani. Che questo sia il corretto approccio alla teologia palamita è indicato chiaramente dal fatto che san Gregorio considera molto seriamente l’esistenza di amici di Dio e la riconciliazione nell’Antico Testamento un punto piuttosto importante che padre Giovanni trascura. Inoltre Meyendorff non prende mai seriamente il fatto che per Palamas la grazia deificante salvatrice di Dio è la Sua gloria e regno increato rivelato ai profeti dell’Antico Testamento come pure agli apostoli e santi della Chiesa.