L’ortodossia in Italia
L’odierna secolarizzazione

Analisi di un momento storico

(la pastorale degli Italiani)

Ieromonaco Gabriele Monastero di San Basilio il Grande Revello


La scottante delicatezza dell’argomento oggetto di questo mio intervento mi consente di rivolgermi a voi in modo informale, dimenticando e chiedendovi di dimenticare per questo momento concetti quali gradi, titoli, dignità ecclesiali ecc, e di concentrare la nostra attenzione su noi stessi in qualità di uomini. Come tali, con le nostre capacità e forze, e anche con le nostre debolezze ed imperfezioni.
Premetto che l’analisi del fenomeno della secolarizzazione e del suo contesto storico non è inappellabile e sentenziosa diagnosi, ma ricerca di una terapia. Tuttavia, è necessario rendersi conto di dove siamo, se vogliamo iniziare un cambiamento epocale nella storia della Chiesa Ortodossa. Cambiamento al quale tutti siamo chiamati a contribuire in modo generoso e virile, allontanando da noi stessi le suggestioni del mondo e gli echi del suo potere.
Secolarizzazione significa indossare una maschera che ci impedisce di agire con potenza nella libertà dei figli di Dio al servizio di un santo ideale che ci supera e completa. Onestamente dobbiamo riconoscere che troppo spesso abbiamo indossato questa maschera. E se ci riflettiamo un poco ci possiamo rendere conto che questa maschera non è nostra, non ci appartiene come innata ma si è configurata nel corso della nostra vita. Il più delle volte ci è stata appiccicata da consuetudini culturali e dalla paura del giudizio di altri esseri umani. La secolarizzazione non deve essere intesa come mancanza di ascesi rituale o inosservanza di pratiche ascetiche comunemente intese, ma come la contaminazione delle energie mondane nel nostro pensiero. Contaminazione che si traduce in comportamenti ed atteggiamenti proni a fare nascere divisioni, invidie, liti. Il tutto condito da faziosità pericolose per la salvezza dell’anima. Questo tarlo rode in profondità l’essere intimo dell’uomo e lo rende ribelle alla disciplina, duro e privo di misericordia, testardo e presuntuoso, ambizioso secondo il mondo e dimentico della grazia ricevuta. Grazia che, spesso, viene confusa con il potere e l’autorità e, come tali, esercitata con conseguenze nefaste. Al punto di confondere la conoscenza o familiarità con le rubriche del giusto comportamento liturgico con la maturità e l’esperienza spirituali. Il rapporto sacerdote/laico spesso viene sovvertito. Molti laici giocano a fare i preti, o si improvvisano padri spirituali (alcuni anche esorcisti con risultati che spesso hanno del disastroso, quando non sono solo ridicoli), ma non vengono corretti e aiutati perché “influenti” nella micro-comunità.
Purtroppo la pressoché totale mancanza di esperienza spirituale spesso obbliga il sacerdote a rifugiarsi dietro prescrizioni “protocollari” per dirimere questioni e risolvere dubbi. Si finisce così per avere preti che impongo penitenze a destra e a manca senza avere la necessaria esperienza e il necessario discernimento delle debolezze del penitente. Il risultato è un’elevata “moria” di fedeli. Ed ecco che assistiamo alla creazione di correnti, di fazioni che impediscono alla nostra Arcidiocesi di continuare a crescere come sarebbe auspicabile. Assistiamo a comportamenti infantili ed indegni non solo per coloro i quali hanno ricevuto l’altissima dignità presbiterale ma per qualsiasi uomo. Gli errori passati, se ce ne sono stati, non devono più avere la capacità di influenzare il comportamento presente e, di conseguenza, la vita futura della nostra Arcidiocesi e la nostra stessa vita. Se non recuperiamo in fretta una visione pacifica di insieme e un progetto comune di collaborazione fattiva, riconoscendoci per quello che siamo, peccatori ed inesperti, per questo bisognosi di esperire per primi l’amore di Dio e di riversarlo sugli altri, le nostre paure che sono lo strumento del Nemico, ci plasmeranno al punto da renderci irriconoscibili a noi stessi e di smarrire la via, e il senso della nostra stessa esistenza. Siamo chiamati ad essere forti, saldi e uomini. Non registratori che ripetono lezioni di altri che in prima persona hanno vissuto ciò che noi oggi vorremmo predicare. Come già detto, il controllo della informazione/catechesi viene spesso frainteso come controllo sulle coscienza altrui, spingendo taluni ad agire in un’ottica di interesse personale a detrimento dell’interesse comunitario che è la realizzazione del disegno di Dio attraverso lo strumento arcidiocesi.
Su di un piano più ampio dobbiamo analizzare anche il terreno ovvero le circostanze storiche ed ambientali nelle quali ci troviamo. Siamo i testimoni di un’opportunità storica irripetibile e come tali siamo investiti di una responsabilità santa e magnifica. Sta a noi scegliere con tranquilla onestà se impugnare saldamente l’aratro che abbiamo preso senza più voltarci indietro, oppure, se servire due padroni. Confido largamente nella potenza che è in noi quali figli di Dio. Nella capacità che alberga nell’uomo di comportarsi in modo nobile ed elevato, evitando le sofisticazioni mondane che sono un laccio per chi ha scelto di amare il proprio prossimo e Dio sopra ogni cosa. Il momento storico attuale è gravido di febbrili attività, crescite spesso tumultuose che di per sé non sono né buone né cattive. Ma che spesso sono solo la traduzione in azione di un disegno personale alimentato da motivazioni egotiche e non spirituali. Questo ci deve preoccupare perché le iniziative personali sono spesso frutto dell’ambizione egoistica e non dell’illuminazione dello Spirito. Gli allettamenti del potere esercitano la propria fascinazione quasi ipnotica sulle menti razionali che non sono state forgiate sotto il maglio dell’obbedienza e della fatica fisica. Molti, vittime di un “complesso del cattolico orfano”, vivono in ossequiosa sudditanza alla realtà cattolica romana. Non sicuri della propria ortodossia, spesso neppure consapevoli di essere strumenti della Grazia, impostano la propria vita in una tensione spasmodica volta a confutare tutto e a protestare il raggiungimento del tanto agognato grado di prete. Questo atteggiamento che confonde l’ordinazione presbiterale con il conferimento del “potere” è un retaggio culturale e psicologico pericoloso del quale facciamo bene a sbarazzarci in fretta. Nell’ottica di questo intervento, nessuno nega che essere sacerdoti ortodossi italiani oggi sia qualcosa di eroico. Per questo, proprio per questo, dobbiamo essere eroi. Superare quello che la nostra cultura ha prodotto. Dimenticare l’eredità sia genetica che psicologica, eliminando così la rivalsa personale, arrivando ad immolare con virile risolutezza noi stessi per illuminare il nostro prossimo. Non è facile, ma nessuno ci ha mai ingannati su questo: sapevamo bene che non sarebbe stato facile essere della sequela di Cristo. Sappiamo bene che da soli non arriviamo a nulla e che senza Cristo non possiamo fare nulla. Se è la gloria che cerchiamo, abbiamo una possibilità unica ed assoluta per ottenerla: servire Dio con tutto quello che siamo, costruendo una arcidiocesi modello di carità e sinergia. E se invece cerchiamo qualcosa di ancora meglio, ci è data con ogni larghezza e senza misura la possibilità di annientare noi stessi e seguire in modo più completo il Maestro. Quando siamo sottoposti a bruschi e notevoli cambiamenti di condizioni, la nostra capacità di reazione viene inficiata, e di conseguenza la nostra capacità di giudizio. Troppo spesso scorgiamo nemici fuori da noi stessi, e non ci accorgiamo di essere preda dell’avarizia e vittime delle preoccupazioni mondane. Spesso cerchiamo di fare più e meglio degli altri perché così facendo, pensiamo, otterremo prestigio. Il prestigio è come un cancro per chi ha scelto la via del Cristo. Molti usano la propria intelligenza per ottenere prestigio agli occhi di altri che sono ciechi quanto loro stessi. Il Vangelo parla diffusamente di questo grave rischio. E’ il momento cruciale nel quale possiamo decidere se affrancarci una volta per sempre da tutto quello che è retaggio umano e diventare quello che siamo sempre stati. Possedere Colui che è già Nostro.
Dobbiamo superare la razionalità e battezzarci nel cuore. Cuore che non deve più albergare adulterio, fornicazione, dubbio, omicidio. Battezzarci in un cuore puro, per vedere Dio. Per fare questo occorre capire una volta per tutte che siamo sacerdoti sempre. Non solo nella celebrazione dei riti. E che il sacerdozio non è potere, ma servitù. Siamo e dobbiamo essere sotto tutti. Dobbiamo portare la nostra comprensione a livelli nuovi. E come sarà possibile farlo se alcuni pensano “solo uno stupido può pensare di fare il prete a tempo pieno”?. Nessuno di noi è tanto santo da potersi atteggiare a grande personaggio, ognuno ha il proprio compito e non deve invidiare quello di un altro. Come gli arti di un corpo collaborano insieme così dobbiamo fare noi. Ci vuole coraggio. Qualsiasi stupido è capace di criticare gli altri standosene in disparte a coltivare il proprio giardinetto privato. Solo chi è scelto da Dio cerca il bene comune.
Per queste ragioni, pur non avendo altro titolo che quello di essere uomo di fronte ad uomini, mi sento di esortare tutti a collaborare ad una pastorale italofona comune e attiva. Chi vuole dei meriti se li prenda. Chi preferisce non apparire e ricevere la propria ricompensa dal Giusto Giudice, certo non sbaglia. Ma, in entrambi i casi, ogni sforzo collettivo verso il bene della nostra Chiesa e, in ultima analisi, verso il popolo spesso confuso, ci varrà a giustificazione per le nostre mancanze e ci sarà nutrimento per la nostra pace. Lo sforzo non è volitivo o intellettuale. La Salvezza non si acquisisce con lo sforzo personale ma con la carità che ci impone di superarci ogni giorno. Di eccedere noi stessi frantumando con risolutezza le nostre meschinità. E di ricominciare ogni giorno la nostra battaglia. Ecco perché fino ad adesso, la pastorale degli italiani è sempre stata relegata ad iniziative private di poco spessore e di scarsa rilevanza salvifica. In ambienti in cui l’informazione veniva rivelata su base esoterica e quasi nel nascondimento anziché condivisa, ampliata, diffusa e largamente distribuita. La mancanza di una visione d’insieme del progetto comune è sinonimo di scarsa fiducia in Dio. Non per questo dobbiamo avvilirci. Avendo riconosciuto noi stessi mancanti, ci possiamo fortificare. Con la paziente demolizione di tutto quello che ci impedisce di essere noi stessi. Con la verità. Con l’amore che non teme. E con la comprensione. E’ grave che giovani italiani che vogliono diventare monaci siano guidati all’estero. Come se in Italia non ci fossero monasteri. Tanto più monasteri italofoni. Tuttavia, questo accade. Perché? Perché spesso le parrocchie diventano delle proiezioni dell’ego del parroco. Piccoli mondi dominati da un despota assoluto che decide del bene e del male. Anzi, che cosa è bene e che cosa è male, sulla base delle proprie debolezze. Se proiettiamo sugli altri le nostre colpe li contaminiamo. Se le energie che fino ad oggi si sono spese per distruggere, dividere, denigrare e nascondere fossero state impiegate per costruire, formare, accogliere e comprendere allora nessun convertito all’ortodossia avrebbe fatto marcia indietro e i benefici per le nostre anime e per le nostre stesse vite sarebbero incalcolabili. Purtroppo, questa ottica di dominio, cara ai latini, sembra ancora aleggiare nelle menti. Non importa quello che siamo stati. Importa quello che Siamo in realtà. Alcuni di noi hanno dei passati burrascosi alle spalle. Non devono certo rendere conto a me. Altri hanno una visione così distorta del mondo da non riconoscersi neppure più. Ebbene, questo è il momento per cancellare tutto. Per liberarci di ogni passione malevola e perversa. Se, come spero, vi sentite ribollire il sangue al pensiero del bene che potete fare, ci attende un futuro pieno di bene e una lotta epica. Il premio della nostra eventuale vittoria è l’abbraccio di Dio.

“LA PRESENZA ORTODOSSA IN ITALIA OGGI”- I° CONVEGNO PASTORALE DEL CLERO
Montaner, Monastero di Santa Barbara 16 novembre 2007