La rinascita filocalica tra Oriente e Occidente
Fenomeni di interazione
«Un tempo molti, anche di quelli che vivono nel mondo
…, avevano una sola ed unica opera: pregare continuamente nel cuore! … E ora
invece … anche presso gli stessi monaci e quelli che fanno vita esicasta, ciò è
rarissimo. … Deduco con certezza che non c’è altra causa per la quale … sono
così pochi quelli che si salvano in questo tempo, se non questa: che abbiamo
trascurato quest’opera che conduce alla deificazione. … Inoltre, per di più noi
siamo privi di quei libri che guidano a questo. … Ecco … che quei testi … che
giacevano in luoghi nascosti … che ci guidano con scienza alla purezza del
cuore, alla sobrietà dell’intelletto, al ravvivarsi della grazia che è in noi,
aggiungi anche, alla deificazione, eccoli … raccolti in uno. Un libro che è …
mistica scuola della preghiera spirituale, … proprio lo strumento stesso della
deificazione, possesso mille volte più desiderabile di qualunque altro, da
molti anni pensato e cercato, ma non trovato. … Venite, tutti quanti siete
partecipi della vocazione ortodossa, monaci e laici insieme, voi che siete
zelanti perché avete trovato il regno di Dio che è dentro di voi».
Queste appassionate parole, con le quali s. Nicodemo
l’Aghiorita introduce la Filocalia,
sono voce di un mondo, già afflitto dalla dominazione islamica e dal
proselitismo cattolico, che si sente ora sotto il nuovo formidabile attacco
della radicale negazione della visione cristiana del mondo e della storia, che
nel XVIII secolo ha segnato culturalmente l’inizio dell’età moderna. È una
voce, la sua, che proviene dal deserto monastico e che contrappone ai lumi
proiettati sull’uomo da una razionalità che rivendica autonomia da ogni
trascendenza, l’illuminazione che investe dall’alto l’uomo, per il quale ogni
luce non divina non è che tenebra. È una voce, la sua, flebile e lontana per
l’occidente, comprendendo in questa categoria culturale anche le componenti del
mondo ortodosso, greco e russo, più sensibili agli stimoli di pensiero, che avrebbero
poi progressivamente portato all’inesorabile secolarizzazione della moderna
società. È una voce però, quella di s. Nicodemo, che risponde a questo
seducente invito all’apostasia dal cristianesimo non già con l’armamentario di
un’agguerrita apologetica, ma in termini perfettamente congruenti con l’essenza
stessa della rivelazione cristiana e pienamente conformi alla tradizione
ortodossa.
In virtù infatti della dinamica per cui, nei momenti
più critici della vita cristiana, si riscoprono proprio i suoi valori
essenziali, questa risposta, di altissimo profilo, consiste nella
concentrazione, pressoché esclusiva, sui due elementi disposti, dalla divina
dispensazione, per operare la divinizzazione dell’uomo, cioè sul binomio
Scrittura - preghiera e sulla partecipazione ai divini Misteri. Della preghiera
infatti la Filocalia – stampata a
Venezia nel 1782 – costituisce un manuale di iniziazione e di permanente
formazione, più autorevole e sicuro di qualsiasi maestro, in quanto compilato
attingendo al magistero dei Padri, nell’assunto fondamentale – che abbiamo già
visto espresso nel proemio dell’opera – che, quanto alle esigenze della vita
cristiana fra monaci e laici non vi è differenza alcuna, se non quanto
all’esercizio della sessualità (in esplicita dissonanza con la Filocalia slava, compilata invece, da s.
Paisij Velickovskij, essenzialmente per i monaci). Quanto poi alla massima
frequenza alla santa Comunione, essa è oggetto del Libro utilissimo all’anima (Biblivon yucofelevstaton), pubblicato sempre a Venezia, quasi in prospettiva complementare,
l’anno dopo la Filocalia.
La rinascita filocalica non è stata, in ordine di
tempo, la prima reazione di difesa del mondo ortodosso nei confronti del teismo
anticristiano elaborato in occidente in chiave primariamente anti-cattolica. A
partire dalla prima metà del XVII secolo roccaforte dell’Ortodossia, cioè
centro della resistenza alle influenze dottrinali protestanti ed alla strategia
cattolica dell’”uniatismo”, era diventata, con la Confessione ortodossa di Petro Mohyla, l’Ucraina, dove con una
sconcertante alloglossia l’Ortodossia scriveva in polacco e dogmatizzava in
latino. In un contesto culturale così atipico per l’Ortodossia – al quale si
era sottratta solo la Confessione
ortodossa di Dositeo II di Gerusalemme – si concepisce ancora il disegno di
difendere la fede con lo stesso armamentario del nemico. Fu sostanzialmente
questa la risposta elaborata da Eugenio Boulgaris e da Niceforo Theotokis,
consistente – nel primo soprattutto – in un approccio selettivo alle nuove
idee, nutrito dalla convinzione che la rinascita morale e spirituale
dell’Ortodossia non potesse prescindere dalle più recenti acquisizioni della
cultura occidentale, in ambito sia umanistico che scientifico. Il quadro di
riferimento è ovviamente quello della fede ortodossa e infatti il Boulgaris, in
assoluta continuità con le esigenze apologetiche, caratteristiche del secolo
precedente, di un’esposizione sistematica delle fede ortodossa, ne offrì, nel
suo Qeologikovn, un’ulteriore summa teologica, anche
se con evidenti tracce di razionalismo scolastico. Nondimeno egli tradisce un
cauto apprezzamento dell’enciclopedismo francese – non certo nella sua
dimensione agnostica, quanto piuttosto in quella anticattolica, per cui egli
procede alla traduzione del volterriano Trattato
sulla tolleranza –, ravvisato come indispensabile strumento di trasmissione
del sapere, in senso onnicomprensivo di tutte le dimensioni della conoscenza.
Una più palese estraneità di Niceforo Theotokis nei confronti di aspetti
qualificanti l’illuminismo è testimoniata dalla sua fervente confutazione del
razionalismo volterriano applicato alla critica biblica, ma è nondimeno
significativo che destinatari della sua edizione di Isacco il Siro non siano i
fedeli ortodossi, bensì i monaci, del Sinai e del Monte Athos. Questo tentativo
di una nuova mediazione culturale tra oriente ed occidente si svolge pertanto
in una cornice fortemente mondanizzata, che concepisce la scienza della
Rivelazione inseparabilmente da tutto lo scibile umano, aggiornato ai più
recenti sviluppi nelle scienze filosofiche, matematiche e fisiche. È assai
significativo che sia Boulgaris sia Theotokis siano divenuti entrambi vescovi
in quella Russia cateriniana, culturalmente proiettata verso occidente, dove
l’ecclesiologia ortodossa era stata mortificata dal regime sinodale ed il
vigore spirituale del monachesimo era stato avvilito da una sistematica opera
di secolarizzazione.
In ideale antitesi con queste terre ortodosse del
Nord, dove si guardava, sempre più ammaliati, alla moderna cultura europea, gli
spazi monastici della santa Montagna popolati da Greci e da Slavi e le sperdute
isole greche instancabilmente visitate da s. Macario di Corinto, sarebbero
diventati il luogo di elaborazione e di irraggiamento dell’autentica risposta
ortodossa al turbine della dissacrazione, una risposta da sempre presente, ma
sino ad allora silente nelle biblioteche monastiche, dove era custodita come il
fuoco sotto la cenere. Questo fuoco fu riacceso anche dal tempestoso passaggio
del Boulgaris all’Athos – dove s. Cosma Etolico maturò l’esigenza di
divulgazione della cultura cristiana ortodossa e di scolarizzazione del popolo,
nella prospettiva del suo famoso motto “dalla scuola alla Chiesa” –, senonché i
promotori della rinascita filocalica – pur partendo dalle metodologie
conoscitive profuse dal Boulgaris nel suo programma di rilancio culturale –
mutarono radicalmente i contenuti della sapienza da trasmettere e divulgare,
concentrandosi unicamente sulla “scienza delle scienze e sull’arte delle arti”.
Questa è precisamente l’esperienza ascetica mediata dalla grande tradizione dei
Padri, alla quale, inseparabile dalle Scritture, viene riconosciuta l’autorità
primaria di Parola per eccellenza della rivelazione cristiana e di conoscenza
autentica, in quanto esperienziale e non intellettuale, delle cose di Dio.
Ecco pertanto che il loro programma editoriale – in
consapevole continuità con l’analoga attività di un altro athonita, Agapio
Landos – si inquadra in un grande disegno, concepito con estrema lucidità e
perseguito con determinazione e coerenza. Da un lato si elabora un corpus
pressoché completo di commentari patristici alle Epistole apostoliche (desunti da Teofilatto di Ochrida, dallo
Pseudo-Ecumenio di Tricala e da Metrofane di Smirne) e ai Salmi (desunto
da Eutimio Zigadeno), pubblicati, in vista di una loro massima fruibilità, in
un lingua «più comune» o «più semplice». Per quanto attiene invece alla
conoscenza mistica, cioè esperienziale, del Dio inconoscibile, la compilazione
della Filocalia, come garantita scuola di preghiera, comportò anche
l’edizione, in una prospettiva strettamente complementare, dell’Evergetinos,
il florilegio spirituale di Paolo dell’Evergetis – come una sorta di
iniziazione al monachesimo interiorizzato, in sinergia con la pubblicazione
dell’Epistolario di direzione
spirituale di Barsanufio e Giovanni di Gaza –, nel pieno recupero del carattere
essenzialmente monastico dell’esistenza dei battezzati e, ad un tempo, delle
radici battesimali della vita monastica. Il dittico Filocalia-Evergetinos
forma a sua volta un trittico con il Libro
utilissimo sulla Comunione frequente, rielaborazione anonima di un
precedente scritto di Neofito Kafsocalivita compiuta a due mani da s. Nicodemo
e da s. Macario. Il primato assoluto della Scrittura – inseparabile
dall’ispirata interpretazione dei Padri – e la centralità riconosciuta alla
partecipazione ai divini Misteri costituiscono pertanto il binomio inscindibile
alla base di ogni rinnovamento spirituale, personale e comunitario, della vita
cristiana. Tra i Padri appaiono poi privilegiati, in questa grande impresa
formativa, s. Massimo, al quale è dato ampio spazio nella Filocalia, s.
Simeone il Nuovo Teologo, di cui vengono editi i Sermoni, nella
volgarizzazione – così è scritto – di Dionisio Zagoraios, e s. Gregorio
Palamas, del quale si progettò l’edizione di tutta l’opera.
Com’è noto dopo le analisi di Marcel Viller nel 1924 e
di Costantino Papoulidis nel 1971, nel vasto panorama di pubblicazioni promosse
nell’ambito della rinascita filocalica figurano anche dei trattati
ascetico-spirituali, che sono risultati traduzioni, sapientemente adattate al
sentire ed al dogma ortodosso, con preziose integrazioni bibliche e
patristiche, di opere allora tra le più divulgate nella letteratura spirituale
dell’occidente cattolico-romano, particolare sul quale l’Aghiorita – l’autore
di questi trattati – rimane costantemente e coerentemente silente. Tali
scritti, pienamente inquadrati in questo unitario disegno formativo, vennero
implicitamente omologati alle testimonianze della più pura ed autentica
tradizione ortodossa, che s. Nicodemo e s. Macario venivano riportando alla
luce.
La prima di queste opere è il Combattimento
invisibile, appunto di s. Nicodemo, – così diffuso da avere avuto due
ristampe nel XIX secolo e ben tre nel XX –, riscrittura ortodossa del Combattimento
spirituale del teatino Lorenzo Scupoli, nell’edizione curata a Roma nel
1657 dall’altro teatino Carlo De Palma, comprendente anche il trattatello
denominato Sentiero del paradiso, attribuito allora allo Scupoli, ma in
realtà del francescano Juan de Bonilla. La seconda opera sono gli Esercizi
spirituali, che risultano,
a loro volta, dalla rielaborazione ortodossa di tre divulgatissimi scritti del
gesuita Giovanni Pietro Pinamonti, tutti finalizzati alla
semplificazione-divulgazione di questa pia pratica ignaziana: gli Esercizi
spirituali di s. Ignazio di Loyola, apparsi a Bologna nel 1698, La
religiosa in solitudine, ivi stampata nel 1695, e La via del cielo
appianata, stampata a Firenze nel 1700. Nella compilazione poi di un’opera
liturgico-disciplinare, il Manuale della
Confessione (!Exomologhtavrion) –
che, a partire almeno dal secolo precedente, era divenuto un genere letterario
nella letteratura ecclesiastica ortodossa –, l’Aghiorita – accanto
all’illustrazione dei canoni penitenziali attribuiti al patriarca
costantinopolitano della fine del VI secolo, s. Giovanni IV il Digiunatore,
corredati dai commenti dei canonisti bizantini – riprende, anche nei titoli,
due operette del gesuita, e predicatore famoso nella storia della letteratura
italiana, Paolo Segneri: Il confessore istruito, pubblicato a Brescia
nel 1672, e Il penitente istruito, uscito a Bologna nel 1669. Infine nel
manuale pedagogico dell’Aghiorita, il Libro
dei buoni costumi (Crhstohvqeia), è stato riscontrato l’influsso di un’altra
opera del Segneri, Il cristiano istruito,
pubblicata a Firenze nel 1686.
È merito di Elia Citterio l’identificazione del
tramite attraverso il quale, in modo pressoché sicuro, questo patrimonio della
letteratura spirituale cattolico-romana dell’età moderna è pervenuto a s.
Nicodemo in traduzione greca: si tratta delle versioni del cretese Emmanuele o
Manuele Romanitis, segretario del monastero di S. Giovanni il Teologo a Patmos
dal 1717 al 1758. A lui infatti è ascrivibile la traduzione del Combattimento
spirituale dello Scupoli, seguita da quelle del Sentiero del paradiso
di Juan de Bonilla e del trattatello sugli Otto dolori mentali del Cristo
della beata Camilla Battista da Varano (allora ritenuto anch’esso dello
Scupoli), contenute nel codice di Patmos 561. Lo stesso Romanitis aveva
pubblicato anonima a Venezia nel 1742 la traduzione greca delle due opere del
Segneri, Il confessore istruito e Il penintente istruito,
rifluite poi – come si è detto – nell’!Exomologhtavrion dell’Aghiorita. Nel codice di Patmos 296 si
può leggere poi la traduzione in greco moderno della Filosofia morale
derivata da Aristotele di Emanuele Tesauro, alla quale s. Nicodemo – come
ha rilevato il Citterio – ha attinto a piene mani nella compilazione della sua
opera più originale, il Manuale di consigli (Sumbouleutiko;n !Egceirivdion). Se si considera infine che nel catalogo
della biblioteca della scuola Patmiade nel 1769 – prima cioè della sua
incorporazione in quella del monastero – e poi nel catalogo della biblioteca
del monastero, redatto nel 1793 da s. Macario di Corinto, è censita un’opera
denominata Gumnavsmata pneumatikav, oggi non più reperibile, è del tutto
plausibile che si trattasse proprio dell’omonimo lavoro del Pinamonti, tradotto
in greco dal medesimo Romanitis. Quest’ultimo è stato pertanto riconosciuto
come il tramite letterario pressoché unico per l’ingresso di questi classici
della coeva spiritualità cattolico-romana nell’opera di s. Nicodemo, al quale
solo però sembra da ascriversi – come hanno mostrato le indagini, ancora
preliminari, di Elia Citerio – l’integrazione nella spiritualità ortodossa.
All’Aghiorita, che mai abbandonò il sacro recinto dell’Athos, le traduzioni del
Romanitis sarebbero pervenute – sempre a parere del Citterio – tramite
l’attivismo di s. Macario di Corinto, che, nell’ultimo ventennio del XVIII
secolo, soggiornò a lungo nell’isola dell’Apocalisse, compiendo, nel frattempo,
frequenti viaggi alla santa montagna dell’Athos.
È noto come la constatazione di questa insistente,
anche se non dichiarata, assimilazione, da parte di s. Nicodemo, della metodica
di vita spirituale più autorevole ai suoi tempi nell’occidente cattolico abbia
indotto alcuni ambienti ortodossi – non sempre qualificabili come “tradizionalisti”
(mi riferisco, ad esempio, a Christos Yannaras e all’accusa di “plagio
spirituale” rivolta all’Aghiorita da Lev Gillet) – a contestargli la qualifica
di autentico testimone della più pura tradizione ortodossa. Sarebbe allora, s.
Nicodemo, un involontario testimone, nell’ambito della teorica della vita
spirituale, di quella “pseudomorfosi”, che ha afflitto, secondo la celebre
espressione di Georgij Florovskij, la teologia ortodossa in età moderna fino a
quella rinascita neo-patristica, di cui proprio il movimento filocalico ha
rappresentato l’avvio? Oppure egli sarebbe l’altrettanto inconsapevole
precursore di un dialogo, non già teologico, ma prettamente spirituale, tra le
due grandi tradizioni cristiane greca e latina, nonostante le sue intransigenti
chiusure canonico-disciplinari e l’orientamento decisamente anti-latino
testimoniato dal suo Timone della nave
spirituale (Phdavlion) e nel Nuovo
martirologio? È quanto si potrebbe pensare in ambito cattolico, per eccesso
di ammirazione nei confronti dell’indubbia eccellenza di s. Nicodemo come
spirito sapiente e maestro di vita nello Spirito.
Ha perfettamente ragione Elia Citterio nel precisare
che la prospettiva di s. Nicodemo non è, né nelle intenzioni dell’autore né –
aggiungiamo noi – nel suo esito finale, una sintesi tra le due tradizioni –
come si era espresso l’Härtel –, un consapevole, anche se implicito, ecumenismo
spirituale ante litteram. Decisamente
aberrante sarebbe poi stendere sulla straordinaria personalità dell’Aghiorita
un sottile velo di “latinofronia” spirituale, quando proprio gli esponenti
della rinascita filocalica sanciranno, con la propria autorevolezza spirituale,
la svolta rigorista – così ben indagata dal vescovo Kallistos di Dioclea,
allora ancora Timoty Ware, nel suo studio dedicato ad Eustrazio Argenti –
operatasi nell’Ortodossia greca nel 1755 con la definizione del patriarca
costantinopolitano Cirillo V, sottoscritta dai colleghi di Alessandria e di
Gerusalemme, in merito alla non ecclesialità della Chiesa latina,
all’invalidità pertanto dei suoi sacramenti ed alla conseguente necessità di
ribattezzare i cattolici. S. Nicodemo è perfettamente consapevole di proporre
ai cristiani ortodossi, per guidarli nella vita spirituale, accanto alla
sapienza ispirata dei Padri “neptici”, anche queste voci provenienti da un
occidente che egli percepisce come sviato nella fede e aggressivo nella
propaganda religiosa. Tanto è vero che la provenienza di questi apporti, così
sostanziali nel suo magistero, viene volutamente censurata: lo Scupoli è un
“uomo sapiente”, il Segneri un “maestro”, s. Caterina da Siena semplicemente
una “vergine”, i protagonisti degli esempi edificanti sono «uomini virtuosi» e
le loro fonti vengono genericamente indicate come Storie ecclesiastiche o Paterikà,
in conformità a quelle della tradizione ortodossa. È il procedimento adottato
del resto anche da un altro aghiorita, ben più recente, Theoklitos di
Dionysiou, quando accenna, nel suo libro Fra
cielo e terra, alle stigmate di s. Francesco d’Assisi. Elia Citterio non ha
mancato di rilevare lo stringente contrasto fra il procedimento di s. Nicodemo,
più rispettoso dell’originale, e il rifacimento russo del suo Combattimento invisibile, compiuto nel
secolo successivo da s. Teofanie il Recluso, che ha provveduto invece ad una
radicale e completa “delatinizzazione” del testo.
Ciò che ha reso l’Aghiorita così ricettivo e così
scarsamente selettivo nei confronti di questi apporti dell’occidente latino non
è tanto – a nostro avviso – il carattere particolare, nel più vasto panorama
del coevo cattolicesimo romano, della spiritualità teatina e gesuita, dai
tratti indubbiamente molto volontaristici – in chiave anti-protestante – e
pertanto in qualche modo assimilabile alla dottrina ortodossa della “sinergia”
ascetica dell’uomo all’opera della propria salvezza. Ben più decisiva è stata
la passione, ardente ed assoluta, di s. Nicodemo per la ricerca dell’unione con
Dio, da lui sentita come l’imperativo assoluto della vita cristiana, di fronte
al quale tutto ciò che la favorisce, deve essere amorosamente cercato, raccolto
e divulgato. La sua estraneità alla manualistica teologica occidentale – a
differenza della scolastica ortodossa del suo tempo – certifica la sua totale
immunità da ogni serio indizio di “latinofronia”; il fatto è che la dimensione
strettamente dogmatica appare in lui assai marginale e, dando per presupposto
il retto credere, al centro del suo interesse c’è una teologia pratica, la
pratica appunto dell’amore divino, la cui poliglossia non è che una conseguenza
dell’ineffabilità delle realtà celesti. In tale prospettiva egli è senza dubbio
uno dei creatori di un’“Internazionale dello spirito”, che amalgama tutte le
autentiche tradizioni cristiane.
Di tutto ciò ci si può stupire solo se non si
considera che quello dell’anima è un linguaggio, per così dire, privo di suono,
in quanto metalinguistico e metaculturale, che travalica cioè le specificità
culturali, temporali e pertanto anche confessionali, ed articola valori,
priorità ed esperienze che risultano sorprendentemente le stesse.
L’omologazione ad una singola tradizione cristiana comporterebbe pertanto
l’impoverimento di questo linguaggio mistico indifferenziato: da questo punto
di vista s. Nicodemo non è stato meno ortodosso di s. Teofane, ma ha mostrato
anzi una più elevata sensibilità spirituale. Questa lingua, infatti,
dell’ineffabile non la si può tradurre: essa deve semplicemente essere
integrata, e così ha fatto s. Nicodemo, inserendo, ad esempio, nel discorso
scupoliano, la tradizione ortodossa della custodia del cuore e della discesa
della mente nel cuore, e non adattando, bensì arricchendo un’esperienza, come
quella dell’unione con Dio, che non può avere limiti né confini. Di fronte ad
essa l’uomo scompare, non c’è più maestro, e forse anche questo vuole esprimere
l’Aghiorita, relegando nell’insignificanza dell’anonimato il loro primo
estensore e qualificandosi come colui che le ha semplicemente “abbellite” o
“arricchite”. A questo punto il Combattimento spirituale, e così pure
gli Esercizi ignaziani, sono pronti a ritornare nell’occidente
cattolico, non come opere spurie, alterate ed avulse dal proprio contesto
originario, ma integrate e confermate dalla specularmente diversa e
complementare esperienza dell’oriente ortodosso. Per la natura stessa della
vita spirituale, l’interazione tra le due grandi tradizioni cristiane,
d’oriente e d’occidente, non può essere a senso unico.
Enrico Morini
(Alma Mater Studiorum. Università di Bologna)