«Nella Cipro occupata cristianità cancellata»
Più
di 350 edifici di culto, soprattutto chiese e monasteri, trasformati nel corso
dei 32 anni di occupazione militare turca, in stalle, alberghi, ostelli e moschee.
I numeri forniti da Bruxelles parlano chiaro: mentre Nicosia tutela e salvaguardia
l'eredità musulmana dell'isola, nella parte nord sono stati dissacrati
133 chiese e cappelle, 78 delle quali convertite in moschee, 28 utilizzate per
fini militari e sanitari, 13 come depositi e stalle. Inoltre 15 mila icone sono
state rimosse illegalmente e resta ignota la loro attuale collocazione.
«Salvate le chiese di Cipro»
Mozione a Strasburgo.
Di Luigi Geninazzi
La questione della libertà religiosa irrompe nel dibattito sull'adesione
della Turchia all’Ue. Il Parlamento europeo ha approvato nei giorni scorsi
una dichiarazione «Sulla tutela del patrimonio religioso nella parte nord
dell'isola di Cipro» in cui si denuncia la dissacrazione di oltre 100
edifici di culto greco-ortodosso e la scomparsa di più di 15mila icone.
La dichiarazione è stata sottoscritta da 403 eurodeputati (più
della maggioranza assoluta dell'assemblea). «Il sostegno politicamente
trasversale che l'iniziativa ha ricevuto da colleghi di ogni nazionalità
è la viva testimonianza dell'unità che l'Europa rappresenta anche
a livello culturale», è il commento soddisfatto dell'onorevole
Iles Braghetto che, insieme al cipriota Demetriou Panayiotis, aveva presentato
la mozione. Nella parte nord di Cipro, sotto il controllo dell'esercito turco
dopo l'occupazione del 1974, quasi tutte le chiese cristiane sono state saccheggiate
o trasformate in moschee, alberghi e addirittura stalle per il bestiame. Uno
scempio che continua e che ha sempre trovato la sostanziale indifferenza della
comunità internazionale. Il Parlamento europeo ha deciso finalmente di
farsi carico del problema: non solo condanna il saccheggio di chiese e monasteri
ma invita la Commissione ed il Consiglio, massimi organi dell'Unione, ad «adottare
tutte le misure necessarie per garantire il rispetto del trattato e la protezione
degli edifici di culto nonché il ripristino della loro condizione originaria».
Il testo della dichiarazione verrà ora inviato alla Commissione europea
che dovrà valutare i provvedimenti da mettere in atto. Il problema non
può essere ridotto ad una questione inter-etnica ma riguarda il rispetto
dei diritti fondamentali, a cominciare dalla libertà religiosa. Non sono
infatti solo gli ortodossi greco-ciprioti a soffrire pesanti discriminazioni
ma anche i cattolici maroniti. «L'esercito turco ha distrutto o confiscato
le loro proprietà ed occupa stabilmente la maggior parte di scuole e
chiese, ridotte a quartieri militari e dichiarate zone inaccessibili»
spiega Antonio Chatzirousos, deputato maronita nel parlamento della Repubblica
greco-cipriota.
Monumenti religiosi di grande valore artistico, come la chiesa di San Michele
Arcangelo nel villaggio di Assomatos ed il monastero di Sant'Elia ad Agia Marina,
stanno andando in rovina. Bloccata da oltre trent'anni, la situazione di Cipro
è forse vicina ad una svolta storica.
Cipro. Ritratto di una cristianità cancellata
Nella parte nord dell’isola, occupata dalla Turchia, le chiese sono diventate
stalle o moschee.
Diario di un viaggio al di là del muro.
di Sandro Magister
L’isola di Cipro fu la prima meta della “missione speciale”
che lo Spirito Santo affidò a Paolo e Barnaba, stando a quel che si legge
negli Atti degli Apostoli al capitolo 13.
Nell’isola essi trovarono un governatore romano, Sergio Paolo, “il
quale era un uomo intelligente, desiderava ascoltare la parola di Dio e credette,
profondamente scosso dall’insegnamento del Signore”.
Ma se oggi Paolo e Barnaba tornassero a Cipro, nella parte nord dell’isola,
come governatori troverebbero non i romani ma i turchi.
E invece che una cristianità nascente ne vedrebbero una morente, con le chiese e i monasteri in rovina, oppure trasformati in stalle, in alberghi, in moschee.
Cipro è entrata a far parte dell’Unione Europea il 1 maggio del 2004. Ma questo vale solo per la parte meridionale dell’isola, greca e cristiana.
La parte settentrionale è
stata occupata dalla Turchia nel 1974, con 40 mila soldati. L’occupazione
turca ha causato morti, distruzioni e uno spostamento forzato di popolazioni.
Circa 200 mila greco-ciprioti di fede cristiana ortodossa che abitavano nel
nord dell’isola sono fuggiti al sud. E viceversa, i turco-ciprioti del
sud, musulmani, si sono spostati al nord.
Nel 1983 la Turchia ha consolidato l’occupazione creando una Repubblica
Turca del Nord di Cipro, riconosciuta internazionalmente dal solo governo di
Ankara. In essa vivono 180 mila persone, di cui più di 100 mila sono
coloni provenienti dall’Anatolia.
Un muro presidiato da caschi blu delle Nazioni Unite divide le due parti dell’isola e taglia la capitale Nicosia. Nell’aprile del 2004 l’ONU ha sottoposto a referendum un piano di confederazione tra i due stati, ma esso è stato respinto dai greco-ciprioti del sud, quattro volte più numerosi dei turco-ciprioti del nord.
L’islamizzazione del nord dell’isola s’è concretizzata nella distruzione di tutto ciò che era cristiano. Yannis Eliades, direttore del Museo Bizantino di Nicosia, calcola che 25 mila icone siano sparite dalle chiese nella zona occupata dai turchi.
Per una Turchia che aspira ad
entrare nell’Unione Europea, ciò che essa ha fatto nel nord di
Cipro è una pessima autopresentazione.
E ciò che ha fatto nel distruggere la presenza cristiana iniziata da
Paolo e Barnaba.
”Non hanno risparmiato neppure l’altare di
pietra...”
di Luigi Geninazzi
L'Europa finisce qui, nell'isola
più bella del Mediterraneo sfregiata da un muro che la spezza in due.
L'Europa finisce bruscamente lungo una barriera di filo spinato, cemento e torrette
militari che taglia Cipro in tutta la sua larghezza e divide Nicosia, capitale
ferita nel suo cuore antico.
Per l'ONU che la presidia con i suoi caschi blu è la “linea verde”.
Ma qui la gente continua a chiamarla “linea Attila”, dal nome che
i turchi avevano dato all'invasione.
Il flagello ha lasciato tracce. Ha colpito Cipro, sede della più antica comunità cristiana sul suolo europeo, nel suo tesoro artistico, culturale e religioso: stupende chiese bizantine e romaniche, monasteri imponenti, mosaici e affreschi d'inestimabile valore. Un patrimonio che nella parte nord dell'isola, sotto occupazione turca, è stato saccheggiato, violato e distrutto.
Per rendersene conto basta attraversare la “linea Attila” al check-point di Nicosia, ed eccoci nella cosiddetta Repubblica Turca del Nord di Cipro che accoglie il visitatore con un grande striscione su cui sta scritto un benvenuto a rovescio: “Quanto sono felice di essere turco!” (famosa frase di Kemal Ataturk). L'orgoglio nazionalista dei discendenti dell'impero ottomano ha modificato anche il paesaggio naturale scolpendo la mezzaluna e la stella rossa sul fianco dei monti Pentadattilos, che dominano l'ampia pianura.
La bandiera turca sventola sulla facciata della chiesa di Agia Paraskevi nel villaggio un tempo greco-ortodosso di Angastina. Un cartello segnala lavori in corso per trasformarla in moschea. Il campanile, senza più la croce, è uno strano minareto con l’altoparlante del muezzin fissato su un’arcata.
Christodoulos, il giovane archeologo
che mi accompagna, è scosso da un fremito. “Sono stato battezzato
qui”, dice con voce rotta dall'emozione. È uno dei 200 mila profughi
greco-ciprioti che trent’anni fa abitavano nel nord dell’isola e
sono stati cacciati dalle loro case.
Christodoulos s'inginocchia sul luogo dove una volta c’era il battistero,
vi accende una candela. I muratori turchi, accovacciati davanti all'abside per
la pausa pranzo, lo guardano incuriositi. “Ogni volta che torno da queste
parti è sempre peggio”, sospira.
Ci fermiamo a Trachoni dove sorgeva un gioiello rinascimentale, la chiesa di
Panagia, Nostra Signora. Oggi ci sono solo le mura, l'interno porta i segni
di vandalismi che non hanno risparmiato neppure l'altare di pietra, i cui pezzi
sono finiti dentro un buco scavato di recente per cercarvi chissà quale
tesoro.
Il nostro è un triste pellegrinaggio che ad ogni tappa aumenta sdegno e incredulità, una via dolorosa che ripercorre i luoghi della memoria cristiana a rischio di sparizione. Al villaggio di Peristerona, sulla strada per Famagosta, il monastero medievale di Sant’Anastasia (vedi foto) è adibito a stalla, con le mucche che brucano l'erba tra quel che resta delle antiche celle. Le tombe del cimitero sono state profanate e le lapidi spezzate.
Ci lasciamo la campagna alle spalle e andiamo sulla costa. Qui molte chiese sono state trasformate in ristoranti, bar e night-club per la gioia dei turisti. In cima alla roccia di Lapethos, a strapiombo sul mare, la chiesa ed il convento di Agia Anastasia sono diventati un sontuoso hotel con la piscina ricavata nel chiostro e il casinò sotto il campanile.
La quasi totalità del patrimonio artistico della Chiesa ortodossa sul territorio occupato dai turchi – 520 edifici tra chiese, cappelle e monasteri – è stata saccheggiata, demolita o sfigurata. Solo tre chiese e un monastero, quello di San Barnaba trasformato in museo, si trovano in uno stato più o meno dignitoso.
“Lo scempio è sotto
i nostri occhi ma l'Unione Europea preferisce girare la testa da un'altra parte”,
ci dice amareggiato il ministro degli esteri cipriota, George Iacovou. “L'unica
speranza è che, nel corso dei negoziati per l'adesione della Turchia
alla UE, qualcuno tiri fuori il dossier della vergogna”.
L'Accademia Bizantina di Nicosia ha raccolto una documentazione accurata e puntigliosa
sulle chiese occupate a Cipro. E da due anni è iniziato un tentativo
di dialogo interreligioso, sostenuto dal vescovo ortodosso Nikiforos dello storico
monastero di Kykko: “Ci siamo incontrati con i leader musulmani guidati
dal muftì di Lefka e ho detto loro che il rispetto per i nostri luoghi
di culto è la base per la cooperazione”. Nikiforos è moderatamente
ottimista: “Ho trovato molta comprensione. Sono stati compiuti errori
da una parte e dall'altra, dobbiamo superare le divisioni del passato e camminare
insieme”.
Ma l'ultima parola tocca ai politici. Huseyn Ozel, portavoce governativo della
cosiddetta Repubblica Turca del Nord di Cipro, sfodera grande cordialità
con il giornalista straniero. Le chiese distrutte e saccheggiate? “C'è
stata una guerra e cose brutte sono successe su entrambi i fronti”, spiega.
Gli faccio notare che la maggior parte delle moschee sul territorio greco-cipriota sono state restaurate, mentre il suo governo ha autorizzato la trasformazione delle chiese in ristoranti ed hotel, un insulto al sentimento dei credenti. “L'hanno fatto per non lasciare andare in rovina gli edifici e comunque sono decisioni prese dal governo precedente, che non condivido”, si schermisce Ozel.
Insisto: cosa mi dice delle
chiese che, anche in questi giorni, vengono trasformate in moschee? Il funzionario
turco-cipriota allarga le braccia: “È un’usanza ottomana…”.
Una tradizione che purtroppo continua. Un biglietto da visita inquietante per
la Turchia che aspira ad entrare nel club europeo.